Bloccati in ascensore per 70 minuti. La disavventura è toccata, domenica scorsa, ad una donna di quarant’anni con il nipote diciannovenne, andati a far visita ad un familiare ricoverato all’ospedale Villa Sofia. Momenti di panico, al buio, chiusi dentro un ascensore, che se prima hanno portato paura e preoccupazione, dopo hanno scaturito rabbia e polemiche. Perché l’assistenza per liberare chi era rimasto bloccato in ascensore non è arrivata immediatamente. Né un addetto alla sicurezza, né un tecnico ascensorista della ditta, a quanto pare nessuno in ospedale domenica sera, intorno alle 18:30 era presente e idoneo a risolvere il problema. E i due sfortunati, a fine orario di visita, che dal quinto piano del reparto di urologia stavano scendendo al piano terra, sono rimasti bloccati all’altezza del primo piano e sono rimasti chiusi in cabina per settanta interminabili minuti. Un ascensore molto vetusto quello dell’ospedale che può contenere fino a un massimo di tre persone e in cabina in quel momento di persone ce ne erano solo due. “Fortunatamente non siamo claustrofobici altrimenti non so come sarebbe andata a finire – raccontano i due malcapitati – ma ad un certo punto, vedendo che il tempo passava e nessuno veniva a liberarci, ci siamo fatti prendere dal panico. Quell’ora è stata infinita. Gridavamo, chiedevamo aiuto ma nessuno poteva fare nulla se non chiedere all’amministrazione dell’ospedale di chiamare un tecnico”. Tecnico che però non arrivava mai. A lanciare l’allerta è stato lo stesso diciannovenne, chiuso in cabina, attraverso il suo telefonino, chiamando un familiare e raccontando l’accaduto. Quest’ultimo, precipitandosi in ospedale, ha cercato di rintracciare un tecnico che potesse liberarli ma non c’era alcun presidio. “Non un addetto istruito per riportare l’ascensore al piano, meno che mai l’automatismo, che in caso di guasto, si sblocca l’ascensore – raccontano ancora zia e nipote – non abbiamo chiamato i vigili del fuoco perché ci avevano detto che sarebbe arrivato un addetto istruito per questo tipo di emergenze, che c’era insomma un ascensorista reperibile ma solo dopo diverso tempo, finalmente è arrivato. Senza la chiave però e senza gli attrezzi per effettuare la manovra. Siamo rimasti così ancora chiusi in quella botola, mentre l’addetto tornava in città alla ricerca della chiave”. Solo dopo più di un’ora i due, rimasti intrappolati, quando l’aria cominciava a mancare e la preoccupazione aumentava, infatti, sono stati liberati. “L’ente è passibile di denuncia per motivi di sicurezza – dichiarano con rabbia i due malcapitati dopo la “liberazione” – un addetto deve essere sempre presente, soprattutto in un ospedale. E’ inaccettabile un trattamento di questo tipo. Abbiamo rischiato di sentirci male davvero. Siamo rimasti chiusi in ascensore per troppo tempo”. Non esita a prendersi la responsabilità di quanto è accaduto, la Direzione medica di Presidio degli “Ospedali Riuniti Villa Sofia–Cervello” che garantisce che sarà fatta chiarezza sul caso. “Ci scusiamo con gli utenti per lo spiacevole inconveniente – scrivono in una nota scritta – indagheremo immediatamente sull’accaduto. C’è innanzitutto da verificare perché non abbia funzionato il sistema di riporto al piano che dovrebbe inserirsi automaticamente in questi casi. Inoltre è davvero inspiegabile, se dovesse trovare conferma, come l’addetto all’ascensore in regime di reperibilità si sia recato sul posto senza l’attrezzatura necessaria. Contesteremo questa situazione, riservandoci di adottare gli opportuni provvedimenti, qualora emergano responsabilità”.