Diventare calciatori è il sogno di tanti bambini, ma il ruolo del portiere è un mestiere per pochi, perché la vita di un portiere non è mai facile, soprattutto nel mondo dei dilettanti. È il primo a salire sul banco degli imputati quando si prende gol, l’ultimo ad essere lodato quando la squadra vince. Chi sceglie questo ruolo sa di scegliere la strada della solitudine e delle responsabilità. Ma per Mirko De Miere, classe 1996, palermitano e rosanero doc, diventare portiere era il sogno di tutta una vita, sin da quando a soli 10 anni ha iniziato a giocare nel settore giovanile della Polisportiva Calcio Sicilia.
Chi ti ha trasmesso la passione per il calcio e perché hai scelto un ruolo così difficile?
“La passione per il calcio me l’ha trasmessa mio padre che da giovane aveva giocato nel ruolo di portiere e smise di giocare dopo un infortunio. Nel 2006, avevo circa 10 anni, l’Italia vinse i mondiali e calcisticamente mi innamorai di Buffon. Ho iniziato proprio in quel periodo a tirare i primi calci al pallone alla Polisportiva Calcio Sicilia ed ho avuto come insegnante Emilio Zangara, in seguito mi ha allenato anche Michele Marotta. Da subito mi è piaciuto questo ruolo. Si dice che chi nasce portiere è un po’ pazzo.”
Dopo la Polisportiva Calcio Sicilia, intorno ai 14/15 anni, approdi nelle giovanili del Ribolla dove disputi una stagione con un giovanissimo centrocampista che già da allora prometteva bene: Francesco di Mariano.
“Al Ribolla ho trovato un ambiente bellissimo, appena arrivato ho conosciuto Ciccio, abbiamo fatto un anno insieme. Già da ragazzino si vedeva che aveva le potenzialità per giocare ad alti livelli. A prescindere che sia il nipote di Totò Schillaci, lui alla nostra età era già un passo avanti rispetto a noi e faceva la differenza. Poi le strade si sono divise, lui andò a Lecce, io andai a Modica, in Eccellenza.”
Ti hanno definito il portiere volante e gli addetti ai lavori conoscono molto bene le tue qualità. Perché è così difficile per i giovani talenti della nostra Terra arrivare al calcio professionistico?
“Ancora oggi me chiedo anche io. Vediamo tutti come la Nazionale Italiana non è riuscita per due anni consecutivi a partecipare al Mondiale. Emergono davvero pochi calciatori italiani. Mi duole dirlo, perché è brutto, ma per esperienza diretta ed indiretta posso dire che oggi il calcio non è più genuino e non c’è meritocrazia. Soprattutto nel calcio dilettantistico se non si hanno parentele ed amicizie importanti diventa davvero difficile inserirsi in una squadra. Dipende anche da molti fattori che poco hanno a che vedere con l’essere bravi in campo. Ci sono diversi Procuratori e Direttori Sportivi che speculano sulla passione dei giocatori, delle loro famiglie e dei Club. È un problema che riguarda a mio avviso tutta Italia. Nelle squadre di serie A ci sono pochi italiani in Rosa. Dispiace davvero questo andazzo, l’ho vissuto sulla mia pelle e ne ho viste davvero tante. C’è un giro sporco di sponsor e tanti ragazzini che si fanno abbindolare con la speranza di diventare un giorno grandi campioni. Recentemente Sandro Pochesci ha detto che il calcio italiano è finito, perché a suo avviso è tutto il sistema che dovrebbe essere riformato, a partire dalle scuole calcio, fino a ritornare alle Rose di prima, ovvero un 80% di italiani in campo, di cui un 20% fatto da ragazzi del proprio settore giovanile in modo da valorizzarli.”
Parliamo della tua passione rosanero. Da chi hai ereditato l’amore per i colori rosanero ed a quale portiere del Palermo ti ispiri?
“Penso che ogni ragazzo che nasce a Palermo ed ama il calcio, automaticamente si innamora dei colori rosanero. Ho vissuto il periodo dei grandi campioni, Miccoli, Cavani e come portiere oltre a Sirigu, uno dei più moderni, ho ammirato molto Jimmy Fontana. Tra tutti i portieri rosanero è quello che mi ha ispirato di più.”
Quando il Palermo è ripartito dalla serie D, speravi in una chiamata da parte della Società?
“In cuor mio ci speravo, non si può nemmeno descrivere la voglia che avevo di ricevere una chiamata. Ma sapevo che sarebbe stato difficile, non ho un procuratore e quindi è rimasto solo un sogno.”
Attualmente sei in forza al Geraci (Promozione, girone B). Compatibilmente ai tuoi impegni di campionato, riesci a seguire il Palermo?
“Adesso che fortunatamente il Palermo è in serie B e gioca di sabato potrò seguirlo. In D e in C era più difficile perché giocavamo in contemporanea. Ma nel giugno scorso, finito il mio campionato, ho potuto seguire i playoff. È stato un mese incredibile e denso di grandi emozioni.”
Cosa pensi del dualismo tra Pigliacelli e Massolo. La competizione è uno stimolo che aiuta a migliorare?
“Penso che quando la competizione è sana, fa bene. Credo però che la scelta tra Pigliacelli e Massolo doveva essere decisa dal campo. Massolo meritava di partire dall’inizio per quello che aveva fatto nella passata stagione. Personalmente gli avrei dato una possibilità, aveva contribuito a portare il Palermo in serie B e quindi anche se fosse arrivato Donnarumma secondo me era giusto iniziare con Massolo. Oggi il modo di giocare del portiere è cambiato, il calcio si è evoluto ed il portiere deve sapere usare i piedi. Ma personalmente prediligo chi sa usare meglio le mani.”
Il tuo sogno nel cassetto
“Ho avuto tantissime esperienze, sono stato ad un passo dai professionisti, ma ho anche pensato di ritirarmi. Poi ho continuato a giocare nelle categorie inferiori, dove mi diverto e mi prendo anche tante belle soddisfazioni. Il mio sogno nel cassetto è in realtà un grande sogno, se si avverasse sarebbe per me l’apoteosi. Mi piacerebbe un giorno giocare con la maglia della squadra del mio cuore: il Palermo.”