Avvocato, scrittore, giornalista, penna arguta e pungente di tante testate tra le più prestigiose in Italia, Benvenuto Caminiti è anche un inguaribile tifoso del Palermo, l’amore più grande della sua vita insieme alla moglie Cettina. Ultimo di sette figli, Benvenuto all’età di 13 anni ha perso la madre. Il ricordo di quella mamma dolce e gentile è sempre vivo nel suo cuore, ne parla con struggente nostalgia nel suo racconto autobiografico “Marchio di Famiglia”.
Nel suo ultimo libro “Addio per sempre serie D”, l’omaggio al Palermo Calcio, all’impresa straordinaria compiuta dal Presidente Mirri, che in soli tre anni ha riportato la squadra rosanero in serie B.
Ti aspettavi questa risalita così veloce?
“Più che aspettarmela, l’agognavo e la desideravo ardentemente. Alla mia età è retorico dire che si vive di progetti. Si vive giorno per giorno ed ogni giorno per me è importante, vale 10 anni di vita. Ho vissuto il fallimento dell’U.S. Città di Palermo come un autentico dramma, una pugnalata. Mi chiedevo se avrei mai rivisto la squadra del mio cuore e temevo di non rivedere più il mio stadio. Ma quando il Sindaco assegnò il titolo sportivo a Mirri, capì subito che quell’uomo era un vero tifoso e che poteva riuscire nell’impresa. Molta gente non comprende che è stata compiuta per davvero un’impresa. Dobbiamo essere grati al Presidente Mirri per ciò che ha fatto, soprattutto la nuova generazione.”
Quando è iniziata questa grande storia d’amore per i colori rosanero?
“E’ come una favola, non sono stato io a scegliere il Palermo, ma il Palermo a scegliere me. Da bambino ero molto legato a mio fratello Vladimiro, tra noi c’erano dieci anni di differenza, io lo seguivo come un’ombra. Aveva iniziato a scrivere da ragazzino. A 17 anni scriveva già in maniera straordinaria, mi commuoveva e mi emozionava. Lo pregavo sempre di portami allo stadio, ma lui non acconsentiva perché andava allo stadio per lavorare. Il 6 gennaio 1949, avevo 8 anni, alla Favorita il Palermo giocava contro il grande Torino di Valentino Mazzola, la mitica squadra granata che quattro mesi dopo perì nella tragedia di Superga.
Dopo aver pregato inutilmente mio fratello, che non poteva portarmi con sé in tribuna stampa, decisi di seguirlo di nascosto. Quel giorno pioveva a dirotto, faceva molto freddo e soffiava un vento terribile. Non sapevo dove fosse lo stadio e per non perdere di vista Vladimiro, ero uscito velocemente da casa con una giacchetta leggera. Lui aveva un passo molto più veloce del mio, nel seguirlo scivolavo spesso. Arrivato allo stadio lo vidi entrare e mi precipitai verso l’ingresso, una mano mi fermò, era quella del portiere che mi mandò via, mentre infuriava la tempesta.
Ero disperato e devastato dal dolore, avevo fatto tutta quella strada a piedi inutilmente! Mentre mi disperavo, un ragazzone di circa 16 anni mi prese sotto la sua ala. Mi coprì con un impermeabile, rassicurandomi che a venti minuti dalla fine avrebbero aperto la porta e saremmo potuti entrati. Così fu, aperto il portone, entrammo insieme. Salii carponi quei gradoni troppo alti per me. Arrivati dentro non riuscivo a vedere il campo, ero troppo piccolo ed avevo davanti tantissime persone con gli ombrelli aperti.
Il Torino stava vincendo per 2 a 0. Questo ragazzo mi mise sulle sue spalle e da lì vidi per la prima volta giocare il Palermo. Tra i tanti ricordi preziosi che conservo nel cuore, questo è sicuramente quello più caro, perché è stato il destino a guidarmi. Ho visto il mio Palermo tenere testa alla squadra che in quel periodo era la più forte del mondo.“
Da allora è difficile tenerti lontano dal Barbera, ma come vivi le sconfitte del Palermo?
“Non trovo l’aggettivo adatto, la cosa strana è che crescendo, con la maturità, la famiglia, lo studio legale, per me veniva sempre prima il Palermo. Lo studio legale lo ha portato avanti mia moglie Cettina, io ero sempre allo stadio. Le sconfitte del Palermo li vivo in maniera drammatica, senza pietà! Mi passa tutto perché mi sfogo scrivendo. Ed è una fortuna poter scrivere, perché ci resto davvero molto male.”
Nel tuo primo libro “Un’aquilone rosanero” hai narrato la storia avvincente di Vicé u Pazzu, famosissimo tifoso rosanero, in “Ragazzi di latta” hai raccontato la vita straordinaria di Totò Schillaci, “Col vento nei capelli”, invece, la favola dolce amara di Salvatore Antibo. Quale personaggio avresti voluto raccontare?
“Avrei voluto raccontare la vita Zdeněk Zeman. Oggi ho letto un articolo meraviglioso tratto dal suo libro autobiografico scritto con il giornalista Andrea Di Caro. Zeman è una persona difficile, complicata, aveva sempre detto che non avrebbe mai scritto un libro autobiografico. Qualche tempo fa mi ero rivolto ad una persona a lui vicino per potergli parlare, poi non se ne fece nulla. Mi è rimasto il rimpianto di non aver potuto scrivere io la sua vita.”
La tua fede verso il Palermo è incrollabile, nella gioia e nel dolore. Quale messaggio vuoi dare ai tifosi rosanero, soprattutto a quelli più giovani?
“Come ho sempre scritto, il Palermo si ama di più quando è in difficoltà. Invece spesso leggo offese vergognose. Anche recentemente, dopo questa amarissima sconfitta con il Cosenza. Non capisco questo accanimento contro Corini, che personalmente reputo il migliore allenatore della serie B. Ha un difetto: è una persona perbene, troppo colta per l’ambiente umano ed intellettuale del calcio. Non ho mai visto un allenatore parlare di calcio come lui. Ai giovani voglio dire che il tifoso deve essere un amico. Un vero amico, infatti, si vede nel momento del bisogno. Invece molti palermitani tifano per squadre come Juventus, Inter e Milan perché vincono sempre. Ma questo non è essere tifosi come intendo io. Il Palermo bisogna amarlo come una madre ama suo figlio, incondizionatamente, nel bene e nel male, restandogli sempre accanto.”