Il Giornalista Aldo Mantineo, che ha lavorato per oltre trent’anni alla Gazzetta del Sud dove, da ultimo, ha guidato la redazione di Reggio Calabria, e per oltre venti è stato corrispondente dell’Agenzia ANSA da Siracusa, autore di diverse pubblicazioni, dal 2020 cura per Reggio Tv la striscia bisettimanale di approfondimento del TG dedicata ai temi ed alle dinamiche della comunicazione, autore dell’instant-ebook “Fakecrazia”, uscito da pochi giorni, è stato intervistato in esclusiva da TuttoPalermo.net, dove ha parlato della sua ultima pubblicazione, ma non solo…
E’ uscito da pochi giorni il suo instant-ebook “Fakecrazia”, dal nome falso (fake) e potere (-crazia dal greco), come è avvenuta l’dea di questo titolo?
“Contrariamente a quel che accade quando si scrive un ‘pezzo’ con il titolo che viene elaborato dopo aver realizzato il servizio, in questo caso confesso di aver prima pensato al titolo e solo poi, una volta messo materialmente mano all’operazione di riordino e selezione del tanto materiale che avevo a disposizione – post sui miei social, interviste e, soprattutto, tanta ma tanta lettura di articoli sui diversi aspetti dell’Emergenza Coronavirus – sono passato alla scrittura dei testi. E’ un instant-ebook e ciò mi ha consentito di aggiornare praticamente sino al momento della pubblicazione il mio lavoro rielaborando una serie di ulteriori spunti di riflessione che la cronaca in maniera quotidiana ha fornito. E, purtroppo, in molti casi si è trattato di input scattati da errori grossolani, notizie non verificate in alcun odo (quando, invece, sarebbe stato semplicissimo farlo) che rimbalzavano di social in social, da chat in chat, moltiplicando a dismisura il proprio impatto devastante. Ad un certo punto si è anche verificato che la sperimentazione di un farmaco sia in qualche modo partita anche in Italia sulla base di un video postato su YouTube, diventato virale, nel quale un supposto farmacista italiano residente in Giappone (così, almeno, è stato definito) descriveva lo straordinario effetto che aveva avuto nel Paese nipponico! Salvo poi dover registrare la stupefatta presa di posizione dei vertici della stessa azienda farmaceutica giapponese per la scelta dell’Italia di provare quel loro farmaco nella contrasto al Covid-19. Ecco, guardando questo – e purtroppo molto altro ancora – ho provocatoriamente pensato a questo neologismo, fakecrazia, per altro sin qui non molto utilizzato nemmeno in rete, per indicare come in questa pandemia in qualche modo l’informazione “vera” debba fare i conti con il “potere” della suggestione quando non del falso”.
Tanti ancora non sono in grado di capire quando si tratta di una fake news, noi lottiamo da sempre contro questa piaga: quale consiglio si sente di dare a tutti i lettori?
“Intanto è bene dire che non ci troviamo in presenza né di un fenomeno nuovo né ineluttabile. Poi mi piace ricordare che di “armi” ciascuno di noi ne ha disposizione diverse. La prima cosa da fare quando ci troviamo di fronte a un’informazione, ad una notizia, è verificarla. Non cediamo a quella sorta di ossessione che abbiamo di condividere, cliccare, postare, mettere subito in rete. Prendiamoci, invece, sempre il tempo necessario per analizzare un contenuto, per verificarne la fonte, controllarne l’attendibilità. E quindi guardiamo se quella notizia che ci è giunta – magari via WathsApp da un nostro amico fidato o un familiare e, dunque, con un “carico” di fiducia maggiore rispetto a un contenuto che ci arrivi da altri – sia presente su più siti e giornali on line ben strutturati. E ancora: guardiamo sempre con attenzione la data di pubblicazione perché a volte vengono spacciate per nuove notizie vecchie e anche frattanto superate da ulteriori sviluppi. Grande attenzione dobbiamo poi porla all’analisi di chi è che ha confermato quella informazione. Insomma, esercitiamo sempre l’arte del dubbio, poniamoci sempre delle domande e, soprattutto, se non riusciamo (o non possiamo o anche solo non vogliamo) a verificare una notizia, non condividiamola. Il miglior “vaccino” che oggi abbiamo contro il dilagare della disinformazione è, proprio come accade con il Covid-19, interrompere la catena del “contagio” delle fake news”.
La libertà d’informazione è uno degli elementi principali di qualsiasi democrazia, però spesso la disinformazione porta anche a falsi allarmi, pensa che venga fatto con cognizione di causa?
“Diciamo che non è bene mettere sullo stesso piano le fake messe in giro e rilanciate da chi vuol guadagnare qualche centesimo dalla pubblicità portandoci sul proprio sito o da chi ‘gioca’ con le parole (salvo poi a scoprire che quel gioco è molto pericoloso e in breve può sfuggirgli di mano…) e chi, invece, utilizza la “macchina” della sistematica disinformazione per gettare discredito anche nei confronti di un’intera nazione. Da fake e disinformazione chi non ci guadagna nulla di certo è il lettore, il telespettatore, il consumatore finale di una notizia. Però, come anche sottolineo nel mio instant-ebook dedicando alla questione un intero capitolo, mi sembra pure doveroso dover evidenziare una tendenza in decisa e preoccupante crescita con questa pandemia. Mi riferisco alla tentazione di bollare come fake news qualsiasi notizia che non collimi con il nostro personale modo di vedere, che non assecondi il nostro punto di vista. Etichettiamo tutto come fake così non abbiamo nemmeno il “fastidio” di dover difendere la nostra idea, di argomentare la nostra tesi. Ecco, quando diciamo che dobbiamo solo fidarci di informazioni provenienti da fonti attendibili e autorevoli, non vuol dire che dobbiamo accontentarci del pensiero dominante, della tesi ufficiale. Nessun appiattimento delle divergenze, dunque, ma dobbiamo essere capaci di attribuire a ciascuno il giusto ‘peso’. Se una ricerca scientifica innovativa viene pubblicata su una rivista specializzata accreditata ha un valore certamente differente rispetto al lavoro, pur rispettabile, che non trova però riscontro nella comunità scientifica internazionale. Ecco, con questa pandemia a tratti, a giudicare almeno da ciò che ho avuto modo di vedere e sentire, mi è sembrato che ci siamo sentiti tutti virologi… Insomma, un po’ come accade con la nazionale di calcio: ci riteniamo tutti commissari tecnici!”.
Ultimamente quale è stata la fake news che poteva portare conseguenze negative?
“Difficile individuarne solamente una. Si rischia di puntare i riflettori su una non notizia lasciandone in ombra altre… Comunque, una di quelle che mi ha colpito più delle altre è stata quella circolata all’inizio di questa emergenza e, più di recente, in qualche maniera rilanciata (anche se poi con una rapida mezza marcia indietro) dal presidente degli Stati Uniti Trump, circa la possibilità che ingerire – o farsi iniettare – alcool industriale, che ha proprietà disinfettanti, proteggesse dal Coronavirus. Per fare qualcosa del genere ben 44 persone in Iran, nelle province del Khuzestan e Alborz, all’inizio di marzo, sono morte per avvelenamento. E questi 44 sono morti che nessuna statistica includerà, probabilmente, tra quelli riconducibili al Covid-19”.
Parlando di calcio, essendo un siciliano, come ha vissuto la ripartenza del Palermo dalla Serie D?
“Devo confessare che strada facendo il cacio ha perso in me un po’ di appeal… Sono, probabilmente per ragioni anagrafiche, un nostalgico del calcio che si giocava in contemporanea la domenica alle 15, dalla serie A alla serie D. Il ‘mio’ calcio è quello che ci dava un’intera settimana di tempo tra una partita e l’altra in modo tale da smaltire la delusione di una domenica e farci ritrovare la carica per la domenica successiva. Un altro calcio che, mi rendo conto, non è minimamente compatibile con quelli che sono oggi gli interessi (ma anche le aspettative degli appassionati) in gioco. I miei ricordi calcistici più belli sono comunque inevitabilmente legati al “mio” Siracusa con due stagioni in assoluto su tutte: quella 1970/71 con la storica promozione in serie C grazie al sorteggio dopo lo spareggio bis con i Cantieri Navali – ero un bambino e con mio padre, che pure era messinese, seguimmo il Siracusa in quasi tutte le trasferte, e quella del 1978/79 culminata nella conquista della Coppa Italia semipro’ contro la Biellese con una rete di Ballarin quasi allo scadere. Un successo esaltante in una stagione segnata dolorosamente dalla morte, dopo un incidente in campo a Palma Campania, di Nicola De Simone. E’ il calcio che ho amato di più e, in questo calcio, il Palermo – protagonista tante volte sul più prestigioso dei palcoscenici nazionali, quello della Serie A – è stata un po’ la squadra di riferimento. E’ stato il modello al quale da tifoso guardavo. E, forse, è anche per questo che i ripetuti tonfi, le diverse faticose ripartenze, ingigantiscono ai miei occhi ‘quel’ Palermo di una volta e mi fanno guardare a quello di questi anni con la speranza che, magari assieme al ‘mio’ Siracusa, ritrovi finalmente la strada giusta per la definitiva rinascita”.
C’è una squadra che segue con maggiore interesse?
“In un’Italia divisa tra juventini e anti-juventini… io sono orgogliosamente bianconero da sempre. Ma anche in questo caso oggi vivo questa mia fede calcistica con molto più distacco rispetto a prima. Penso di essere tra i pochi in Italia a non utilizzare i canali televisivi dedicati a pagamento, così la sera vado a ‘caccia’ dei gol della Juve in tv ma solo se ha vinto… E, devo dire, negli ultimi sette-otto anni mi è andata decisamente bene!”.