Occasione perduta? Sicuramente sì e altrettanto sicuramente è stato uno scempio perchè, come al solito, viene penalizzato il pubblico e con lui la musica

Sì, perché di scempio si tratta. Per festeggiare i 45 delle radio “libere”, anche se sarebbe meglio definirle a questo punto della storia “commerciali”, si è partiti con un tam tam mediatico molto alto: “Per la prima volta le radio italiane si uniscono con un format musicale unico. 45 anni della storia della radio pubblica e privata, 45 canzoni italiane per ripercorrerla e votare il 45 giri della tua vita!”.

Le radio italiane? Quali radio? Nello specifico si tratta di RTL 102.5, RDS 100% Grandi Successi, Radio Deejay, Radio Italia solomusicaitaliana, Radio 105, Radio Kiss Kiss, Virgin Radio, Rai Radio 2, Radio 24, R101, Radio Subasio, m2o, Radio Capital, Radio Monte Carlo, Radiofreccia, Radio Norba, Radio Bruno e Radio Zeta che, ovviamente, non sono “le radio” ma le major del mercato radiofonico ossia quelle che condizionano, grazie alle loro scelte, le compilation di quasi tutte le radio di flusso del territorio nazionale. Le stesse che decidono se dare o no visibilità a un’artista o a un’etichetta. Le stesse che controllano il sistema di rilevazione degli ascolti e le stesse che condizionano il segmento pubblicitario destinato alle radio.

Lo ammetto, sono vecchio. Tanto vecchio da ricordare bene che nel 1974 in Italia vivevamo lo stesso problema. Certo le emittenti radiofoniche erano molto meno, si trattava di mamma Rai, di Radio Montecarlo e Radio Capodistria, tutto qua, ma la loro posizione monopolista era identica a quella delle major di oggi che, forti di frequenze nazionali, servizi di streaming in diretta e di podcast decidono in maniera lobbistica di celebrare i quarantacinque anni dalla “liberazione”. Da cosa? Dal mercato. Forse, nel 1974, molti dei direttori artistici e dei programmatori musicali delle major radiofoniche non erano ancora nati o, se lo erano, avevano pochi anni e sicuramente quasi nessuno di loro è salito sui tetti del palazzo o della casa per alzare pali metallici di 10-15 metri necessari per le antenne a dipolo che permettevano la trasmissione in FM. Requisito necessario? Sicuramente no, ma sicuramente background utile per cercare di capire, giorno dopo giorno, che fine faranno le emittenti radiofoniche nel prossimo futuro. E quindi a capire da dove viene la musica e, soprattutto, dove stia andando.

Ma sembra che questa non sia stata la molla che ha portato la lobby, sotto il nome simbolico “Radio Unite per l’Italia”, a scegliere 45 canzoni rappresentative e poi, nella migliore tradizione della “interattività con il pubblico a tutti i costi” di metterle al voto nel loro sito dedicato per scegliere, in un panorama musicale che va da “Luna” di Gianni Togni a “La notte” di Arisa senza dimenticare i Thegiornalisti e Mahmood, la fatidica “The best of”. Poi, nel mix dell’iniziativa, l’idea clou, ossia quella di realizzare, tra queste quarantacinque canzoni, dieci cover affidandole a un manipolo di artisti italiani. E cos’ a Elisa è stata affidata “Mare mare” di Luca Carboni, a Marco Mengoni “Quando” di Pino Daniele, a Gianna Nannini “La donna cannone” di Francesco De Gregori, a Eros Ramazzotti “Una donna per amico” di Lucio Battisti, a Giorgia “Non sono una signora” di Loredana Bertè, ai Negramaro “Sei nell’anima” di Gianna Nannini mentre a Biagio Antonacci è stata affidata “Centro di gravità permanente” di Franco Battiato, J-Ax ha guidato la “50 special” dei Lunapop, a Jovanotti sono state affidate ben due versioni di “Caruso!” di Lucio Dalla e per finire, dulcis in fundo, Tiziano Ferro e Massimo Ranieri si sono esibiti nell’interpretazione di “Perdere l’amore” dello stesso Massimo Ranieri che avevamo già sentito in qualche show televisivo di prime time.

Il risultato finale? Mediamente mediocre. Nulla di più. Il classico investimento finalizzato agli spot della lobby e a mettere in chiaro la loro posizione dominante nel mercato. E l’interazione con il pubblico che fine ha fatto? Il voto si è chiuso il 31 luglio e “I love my radio” decreterà la canzone più amata degli ultimi 45 anni, grazie ai voti congiunti degli ascoltatori e delle direzioni artistiche delle “Radio Unite per l’Italia”. Come a dire che è meglio aggiungere il loro voto a quello del pubblico che, come sempre, non viene premiato come meritevole di dare, anche se spesso solo in maniera emozionale, un giudizio. E’ stata annunciata che, in autunno verrà celebrata, “tutti insieme” recita il comunicato ufficiale “questa grande iniziativa che ci ha regalato dieci bellissime versioni inedite realizzate appositamente da 11 grandi artisti per I love my radio”. Come a dire che vi facciamo votare ma, alla fine, abbiamo deciso noi su quali brani poi sarà fatto l’investimento. Già, perché alla fine si è trattato di un investimento economico riguardante canzoni che già gli interpreti originali ci avevano regalato e sulle quali abbiamo ballato, cantato e sognato. Nessuna sperimentazione, nessun nuovo investimento per un mercato nel quale è sempre importante ma, soprattutto, nessun coinvolgimento del pubblico che ha dovuto, passivamente, settimana dopo settimana, sorbirsi le cover programmate in alta rotazione dalla lobby di “Radio Unite per l’Italia” annunciate sempre con enfasi dai vari conduttori, anche se in questo specifico caso è più giusto chiamarli speaker, ossia portavoce, perché ciò che veniva detto per presentare il brano era “scritto sul copione”. Lo dimostra il fatto che in quasi nessun caso sono stati espressi giudizi sull’esecuzione e sulla qualità del lavoro di produzione musicale come invece i conduttori sono spesso avvezzi fare quando presentano un nuovo brano. Occasione perduta? Sicuramente sì. Ma il dato che emerge dall’esperienza di “I love my radio” è più complessivo perché è evidente che, come al solito, viene penalizzato il pubblico e con lui la musica. Il pubblico perché è costretto, secondo loro, a esaltarsi per le “scelte artistiche” che hanno portato alla selezione dei brani e la musica perché tutto si è trasformato in una grossa operazione egocentristica. Chi ha pagato il conto? Quello economico e quello culturale? Il primo noi, in parte con i nostri click e in parte con i nostri download mentre il secondo lo paga, ancora una volta, la musica.

E come recitava un vecchio proverbio “Nessun odio è così forte come quello che nasce dall’amore”. Si può amare la radio sino a farne il suo male. Ma è vero amore?

(Ro.G.)

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